Quando si sceglie un’opera da portare in scena è sempre un’ impresa ardua far coincidere le proprie idee con quello del pubblico. Il panorama artistico è vario e offre svariate sfaccettature, situazioni, emozioni e la difficoltà consiste anche nel rappresentarle con gli stessi intenti dell’autore, senza snaturalizzarle. Su di una cosa però si è sempre concordi: divertirsi e far divertire. Il pubblico vuole ridere, passare due ore all’insegna del buonumore, dimenticando e lasciandosi alle spalle, anche se per poco, ogni tipo di preoccupazione. Ecco allora che mi è venuta in mente questa commedia, che rientra tra i classici del teatro napoletano. Si tratta di un’opera esilarante, che si rifà alla commedia dell’arte ed alla farsa, con il semplice intento, appunto, di divertire ed emozionare. E’ un’opera scritta, nel 1942, dal grande Eduardo De Filippo, in collaborazione con uno dei grandi autori e commediografi contemporanei, Armando Curcio, noto, tra l’altro, in quanto fondatore dell’omonima casa editrice.
Nella commedia, la comicità nasce dall’ambiente e dalla situazione scenica dei personaggi. È una comicità che riesce ad emergere anche tra il dolore e le lacrime, dipingendo situazioni grottesche, a volte apparentemente non molto realistiche. Gli autori, all’intento di divertire il pubblico, abbinano anche una morale, un contenuto che porta lo spettatore a riflettere su qualche aspetto della vita dell’uomo, evidenziandone le condizioni di bisogno morale, materiale o di giustizia.
Questa commedia parla di una famiglia napoletana e della povertà, della fatica di tirare avanti…. che strano! Sembrano tematiche odierne e comuni a tutte le famiglie italiane, sebbene sia stata scritta quasi 70 anni fa.
Il nostro protagonista, Giovanni, vive insieme alla sua sconfortata moglie, Cristina, una donna provata dalla vita amara e ormai rassegnata ed Erricuccio (fratello di lei), con il quale c’è completo disaccordo. Erricuccio è un uomo mentalmente disabile, tanto da credere di essere il loro figlio. Il nostro protagonista, insieme alla sua famiglia, è talmente povero che vive sempre col desiderio di fare soldi; come se la fortuna di avere soldi potesse risolvere ogni problema. Finisce così per mettersi nei guai: e, pur di racimolare qualche soldo, firma carte false, letteralmente parlando.
Arriva il colpo di fortuna ed alla fine arriveranno anche i soldi, ma la vera fortuna sarà la conquista dell’affetto della propria famiglia, degli amici e di tutti coloro che fanno parte della sua vita. Ritrova l’affetto anche del povero cognato, con cui fino a quel momento non vi era stato che astio e disaccordo. Questa, in realtà, è la vera fortuna… la fortuna con la effe maiuscola.
Mario Antinolfi